Passo in avanti nella lotta contro le leucemie. Un team di ricercatori dell’Università di Padova ha pubblicato il primo studio in cui si definiscono le alterazioni genetiche della malattia linfoproliferativa che fa moltiplicare le cellule Natural Killer (CLPD-NK). Il report, reso possibile grazie al sostegno della Fondazione AIRC, è stato pubblicato sulla rivista “Blood Cancer Journal“. Vi si legge che i linfociti Natural Killer (NK), fondamentali per il sistema immunitario, sono i primi che normalmente riconoscono e uccidono le cellule tumorali. In questa leucemia cronica, prosegue lo studio, le cellule NK vengono prodotte in quantità eccessiva diventando esse stesse cellule cancerose. Si tratta di una patologia molto rara, sinora molto poco caratterizzata dal punto di vista molecolare, per la quale il laboratorio guidato da Gianpietro Semenzato, è centro di riferimento nazionale da anni.
Lo studio è nato dalla collaborazione tra il gruppo di ricerca del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’ateneo padovano, coordinato da Stefania Bortoluzzi, e dalla “task force” del Dipartimento di Medicina dello stesso ateneo patavino, di cui
fanno parte Renato Zambello e Gianpietro Semenzato.
La recente pubblicazione consolida anche la cooperazione con Satu Mustjoki dell’Università di Helsinki (Finlandia), iniziata nel 2016 con la pubblicazione di altre importanti ricerche.
“La ricerca ha consentito di svelare che, nonostante la malattia sia piuttosto indolente, le cellule tumorali hanno un pesante carico di mutazioni, con diverse lesioni genomiche coesistenti in ciascun paziente”, ha spiegato Bortoluzzi. Le alterazioni più importanti identificate riguardano geni che controllano la riparazione del DNA, la proliferazione cellulare, o l’apoptosi ossia la capacità delle cellule di andare incontro a morte programmata per il bene dell’organismo. Poiché, è stato fatto notare, alcune tra le mutazioni scoperte e confermate colpiscono geni bersaglio di farmaci già disponibili, “i risultati dello studio aprono la possibilità di sviluppare trattamenti antineoplastici mirati per i pazienti affetti da questa rara forma di leucemia”, ha aggiunto il ricercatore padovano.
“Lo studio si è basato su una coorte di 57 casi raccolti in 10 anni di attività clinica dall’Unità di Ematologia e Immunologia Clinica dell’Azienda Ospedaliera Università di Padova”, ha spiegato, dal canto suo, Zambello. “Le cellule tumorali e normali dei pazienti sono state sottoposte ad un sequenziamento massivo dell’esoma, cioè la porzione del nostro genoma da cui originano le proteine e gli RNA, consentendo di identificare le alterazioni genetiche presenti esclusivamente nel clone tumorale”, ha proseguito.
In particolare è stato utilizzato il software iWhale, sviluppato da Alessandro Coppe del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino e Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e da Andrea Binatti, le cui modalità di utilizzo e potenzialità di analisi sono in corso di pubblicazione sulla rivista Briefings in Bioinformatics.
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